Cari colleghi,
come Presidente dell’Associazione Salvaguardia Rurale Veneta, voglio sinceramente congratularmi con voi per la vostra iniziativa del 07 maggio scorso intitolata ‘La tutela incondizionata dei lupi porta all’estinzione dell’allevamento tipico dell’arco alpino. Come cambiare rotta?’
Abbiamo seguito con interesse, e non senza una certa commozione in alcuni tratti, il convegno che avete organizzato: le testimonianze e le esperienze che hanno riportato i vostri relatori rispecchiano in tutto e per tutto le difficoltà senza soluzione e la frustrazione che chiunque detenga animali (ormai di qualunque tipo) in terre frequentate dai lupi deve affrontare. Sono stati altresì esposti molto chiaramente i rischi che l’abbandono delle terre marginali comporta e contro cui lotta invece la Comunità Europea.
Per molti altri problemi che affliggono e minacciano il nostro settore riusciamo a studiare soluzioni e alternative che ci consentono di andare avanti ed essere resilienti nel medio e lungo termine, puntando al miglioramento constante del benessere animale e delle tecniche produttive.
Il problema della presenza ed espansione incontrollata del lupo sembra invece farci fare un salto indietro di 100 anni, sembra essere oggi un problema a cui (per volontà altrui) non c’è soluzione, e che ci costringe a chiudere le piccole attività e a peggiorare i sistemi di gestione degli animali di quelle che rimangono attive sul territorio. Siamo privati della libertà e della sicurezza per noi e per i nostri animali, pilastri fondamentali per la conduzione del pascolo.
I dati pubblicati dalla Regione Veneto riportano che per il triennio 2017-2019 si sono registrati 570 attacchi predatori per un totale di 1315 capi coinvolti (tra morti e feriti), prevalentemente ovini, bovini e asini. Questi dati si riferiscono solamente ad una parte dell’arco pre-alpino Veneto (dove i lupi sono insediati) e riguardano le predazioni ufficialmente riconosciute per gli indennizzi. Per l’annata 2020 sono stati resi disponibili solamente i dati relativi al numero di attacchi predatori (218), senza dettagli rispetto al numero e alla specie degli animali coinvolti. Rispetto al 2021, nessun dato è ancora stato pubblicato, fatto salvo per il Parco della Lessinia che tiene autonomamente un registro delle predazioni aggiornato e pubblico, in cui si contano 108 eventi predatori per un totale di 213 capi predati (107 bovini, 8 asini, 80 pecore). I dati relativi alla presenza del predatore sul territorio sono raramente disponibili e quasi mai recenti.
La ‘colpa’ di tutto questo, naturalmente, viene riversata sulle spalle degli allevatori. Tuttavia, tanto quanto il lupo non ha colpe per il suo agire, gli allevatori nemmeno sono responsabili di non poter proteggere adeguatamente il loro bestiame, in quanto la protezione presuppone una ‘gestione’ anche del comportamento del predatore.
Come già osservato da altri, infatti, anche da noi sono pochi gli allevatori che si avvalgono del contributo per l’installazione di misure di protezione passiva del bestiame dagli attacchi dei lupi (es. recinti elettrificati o dissuasori acustici), nonostante siano moltissimi quelli che usano le recinzioni elettrificate per il contenimento del bestiame al pascolo e nessuno (in questo settore) sia spaventato dal lavoro manuale. Questo sta a denotare, una volta in più, la totale inadeguatezza di tali misure allo scopo preposto. Per contro, misure più efficaci quanto impattanti di difesa passiva (perlomeno stanziale) quali l’installazione di grandi recinzioni fisse, interrate e con barriere anti-salto sono vietate dai regolamenti locali e non, e mai implementate.
Ci chiediamo davvero dunque quale sia lo scopo dell’atteggiamento ottusamente miope che si perpetra nella (non) gestione di questa problematica e costringe noi allevatori a farci carico in prima persona di iniziative di divulgazione atte a portare a galla la realtà dei fatti. Divulgare la reale entità del problema e riconoscere l’inefficacia delle misure finora proposte dovrebbe essere il primo passo per poter affrontare INSIEME, e non secondo una gerarchia ‘scienziato-cavia’, una problematica che affligge una porzione tanto fragile quanto importante di cittadini italiani che LAVORANO con le braccia per la manutenzione di quel territorio che rende unico il nostro paese nel mondo. Noi non siamo cavie, siamo essere umani, e DOBBIAMO essere ascoltati.
Dunque ancora congratulazioni per aver saputo organizzare questo evento che ha esposto al meglio il problema, senza disponibilità di fondi (soldi) e sottraendo tempo prezioso al vostro lavoro.
Andiamo avanti insieme,
Cordialmente,
Enrico Beltramini per Salvaguardia Rurale Veneta